Womanity, il lato privato del #metoo
Film della Cuspisti racconta storie quotidiane resilienza donne
- Film della Cuspisti racconta storie quotidiane resilienza donne
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Womanity è una parola stupenda, racchiude umanità e femminile. E' anche il nome di una fondazione che in Afghanistan, Brasile, Libano, India, Marocco e Medio Oriente lavora per l'empowerment delle donne ossia la loro valorizzazione. Ed è il titolo di un documentario di Barbara Cupisti, già autrice 10 anni fa di Madri, in programma alla Festa del cinema di Roma. "C'è l'urgenza di dare voce alle storie di donne, a ribadire l'eroicità, la resilienza delle donne nel quotidiano, la carica positiva quotidiana. Ogni azione anche la più piccola - dice all'ANSA la Cupisti - è un motore di cambiamento all'interno della società". La carica delle donne, "il lato privato, profondo del #metoo" è raccontato nel film attraverso piccole storie esemplari, "scelte tra le tantissime.
Sono solo simboli tra i molti possibili e tutte insieme vanno nella stessa direzione". Prodotto da Clipper Media e Rai Cinema, con il patrocinio della Robert Kennedy Foundation sezione italiana, Womanity incrocia 36 ore (un giorno intero e l'inizio del successivo) qualunque di quattro donne tra India, Egitto e Stati Uniti. Nelle stesse ore la marcia dei movimenti femminili a Washington per ribadire i diritti delle donne e le istanze di equità. Da un anno tornati di grande attualità i movimenti femminili sono una grande eredità del '68, rappresentando il vero cambiamento della società, "non bisogna vergognarsi di tornare ad usare la parola femminismo demonizzata nei decenni scorsi e il #metoo in questo ha un enorme valore. Mostrare la forza positiva delle donne, i pesi che portano e come riescono dall'interno in casa e nei luoghi di lavoro ad agire sul cambiamento". E poi c'è la parola 'sorellanza' , "anche di questa non bisogna avere paura", dice la Cupisti. In Womanity è molto presente: l'aiuto tra donne indiane sfregiate dall'acido è un esempio molto potente. Sono madre e figlia, Geeta e Neetu: nel '93 il marito della prima e padre dell'altra aveva intenzione di ucciderle per potersi risposare con un'altra donna. Loro hanno trovato il coraggio di uscire di casa, mostrarsi con le loro terribili cicatrici e cercare aiuto per ricostruire la propria esistenza: si sono unite al caffè "Sheroes Hangout" di Agra e sono parte orgogliosa di questa realtà gestita interamente da donne che hanno subito attacchi con l'acido. Sempre in India la Cupisti racconta di Ritu che con il fratello Sunil, ha trasformato il villaggio di Bibipur, con un enorme tasso di infanticidi di bambine, in un'isola diversa, un mondo delle donne conosciuto in tutta l'India. Poi c'è la storia eroica e terribile dell'egiziana Sisa, 64 anni, vedova mentre aspettava una figlia. In condizioni economiche precarie poteva solo diventare mendicante o sposarsi, secondo le usanze, il cognato.
Ha scelto di travestirsi da uomo per 43 anni e svolgere così un lavoro riservato ai maschi, come il lustrascarpe, e mantenere in autonomia se stessa e la figlia. In America invece Jonnie, 40 anni, ha scelto di farsi strada in un mondo esclusivamente maschile come quello dei trasportatori: alla guida di enormi camion lavora nella città petrolifera di Williston. Ce l'ha fatta, ma la sua solitudine è davvero terribile.